La natura si esprime in maniera spontanea nella biodiversità del bosco così come della giungla: sono sistemi complessi in cui una grande varietà di piante e insetti si trovano a competere, talvolta a collaborare, per la vita. Il sapore di un frutto che si sviluppa all’interno di un’ambiente di questo tipo risulta sempre più espressivo, più emozionante, più intenso.
Il terroir, inteso come quell’insieme di elementi che caratterizzano fortemente un vino, è composto da una serie di fattori, di cui il primo, e più importante, si nasconde sotto i nostri piedi. Il secondo è certamente il fattore climatico, ovvero il modo in cui sole, pioggia e vento definiscono le differenze tra le varie annate. Il terzo è il contributo del vignaiolo, che interpretando i due punti precedenti, persegue la sua ambizione di ottenere un grande vino (vedi spigolatura miglioramento).
L’abilità di osservare la natura e comprenderla nella sua più profonda essenza risiede primariamente nell’accettazione del fatto che la vita in sé nasce e si sviluppa nel sottosuolo.
La qualità delle argille è importante, tuttavia in natura è la complessità che fa la differenza.
In un terroir di alto livello, le radici che si spingono in profondità e portano ad ottenere vini che esplorano la verticale complessità del terreno. Gestioni di tipo biologico, oltre ad antiche lavorazioni e zappature, favoriscono questo meraviglioso processo.
Ci ritroviamo nel pensiero di Stephane Derenoncourt: “il sapore di un vino proviene direttamente dal suolo e dal sottosuolo, dalla pendenza, dall’orientazione del vigneto e un certo clima. Ma anche da tutte le piccole differenze che un pezzo di terreno può avere.”
Riteniamo dunque necessaria l’analisi e la ripartizione attenta dei vigneti secondo le caratteristiche dei suoli, e uno studio delle differenti necessità di questi settori.
L’obiettivo è di avere suoli decompattati, strutturati ed equilibrati, suoli che mantengono le proprie caratteristiche originali, e infine, cosa più importante e più difficile, suoli in cui sono presenti le condizioni ottimali per il lavoro dei microorganismi e della microflora dei terreni.
Coltivare la vite significa prima di tutto comprenderne la sua natura, assecondarne lo sviluppo, assicurarne la vitalità e la longevità. Da una parte vi è la vigoria selvaggia della pianta, una liana che si dedica strenuamente alla sopravvivenza e alla riproduzione. Dall’altra la mano attenta del viticoltore, che deve saper prendere questo istinto primitivo per portarlo all’eccellenza, interpretando le caratteristiche del terreno, del territorio e della varietà, lavorando con passione e cura maniacale per i particolari.
E’ la sensibilità attenta del viticoltore che, lavorando insieme alla natura che lo circonda con passione e cura maniacale verso i particolari, costruisce rispettosamente l’eccellenza valorizzando l’anima della natura vivente, in quel processo riconosciuto come “arte” fin dall’antichità.